Lezioni di giornalismo / 4

31 agosto 2009 alle 23:43 | Pubblicato su Lezioni di giornalismo | 1 commento
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feltriok

Le parole che rimbalzano oggi sui media sono patacca e mafioso. Non poco se si considera che la prima si riferisce all’informazione pubblica, e la seconda a Berlusconi.

Riassunto delle puntate precedenti
Feltri su il Giornale (quotidiano della famiglia Berlusconi) attacca Dino Boffo (direttore dell’Avvenire, organo della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana) in quanto “moralista” con precedenti penali.
In poche ore i poteri forti prendono le distanze da Feltri:
– Il cardinale Bagnasco (presidente della CEI) dichiara l’articolo un “attacco disgustoso e molto grave”.
– Altri importanti componenti della CEI aggiungono: “un affaraccio brutto”, “inquietante”, “spazzatura maleodorante”.
– Monsignor Domenico Mogavero (presidente del consiglio CEI per gli affari giuridici) afferma: “Un’intimidazione che da siciliano definirei di tipo mafioso”.
Silvio Berlusconi si dissocia: “Sacro il rispetto della vita privata di tutti”. In seguito: “Adesso è meglio se state tutti zitti, lasciamo decantare la cosa. Poi me ne occuperò io personalmente [col Vaticano]”.
Boffo riceve la stima e l’appoggio di tutte le forze politiche, nonché degli stessi vescovi. Scrive nel suo editoriale: “Non una nota informativa, ma una emerita patacca”.

Cosa dice Wikipedia?
La patacca – Era un tipo di moneta, spesso grossa, pesante e di scarso valore. Oggi il termine indica soprattutto un oggetto falso, che si tenta di smerciare come antico e prezioso.
Il mafioso – Le analisi moderne del fenomeno “mafia” la considerano, prima ancora che una organizzazione criminale, una “organizzazione di potere”; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare politici, nonché nel supporto di certi strati della popolazione. Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite.

Vittorio Feltri (ribattezzato “Littorio” da Marco Travaglio) non capisce di averla fatta grossa e prosegue il suo cammino verso il baratro del ridicolo, nello stile “mi piego, ma non mi spezzo”.

Titolo dell’editoriale:

La patacca c’è. Ma è di «Repubblica»

Non si capisce perché si ostini a sbagliare il nome del quotidiano – che non è nato ieri – che si scrive la Repubblica. Non costa a nessuno fare un salto su Google, o sullo stesso sito web! Ve lo immaginate un editoriale di Feltri contro colui che ha definito il suo periodico il Giornalino? La Gialappa’s spiega che non si capirebbe cosa sia quella montagna di carta e inchiostro, ficcata in un angolo dell’edicola, se non ci fosse scritto sopra a chiare lettere la sua definizione precisa: “il Giornale”, risulta quindi un aiuto ai lettori che potrebbero usare l’oggetto come zerbino, o per pulire i vetri delle finestre.

Si inizia bene
L’incipit è una triste considerazione: È impressionante l’appiattimento della stampa italiana. Forse si riferisce all’ultimo resoconto di Freedom House che la declassa da libera a parzialmente libera (oltre resta solo il “non libera”), facendo compagnia in Europa alla Romania e alla Bulgaria, mentre Reporters sans frontieres ci sbatte nella sua classifica al 44° posto (in discesa).
No! Il dramma è un altro: Ieri quattro grandi quotidiani avevano lo stesso titolo d’apertura. Identico. Fotocopiato. E speriamo non concordato. Repubblica, Corriere della Sera, Stampa e Messaggero si presentavano così in edicola: «Bagnasco: attacco disgustoso» (l’unica variante spiccava sotto la testata affidata a Ezio Mauro: anziché Bagnasco, si leggeva «i vescovi»). Mi dovrebbe spiegare Feltri come si fa a fare titoli diversi se in realtà rappresentano una dichiarazione. Bha!
Nasce la certezza che le quattro testate stanno sulle palle a Berlusconi (che correttamente scritte dovrebbero risultare La Stampa e Il Messaggero, svista di poco conto, l’importante è non confondere Il Sole 24 ORE con Le Ore). Non mi stupirei se Feltri avesse già pronto nel cassetto alcuni dossier privati sui loro direttori, o i principali giornalisti. Non dimentichiamo che fra pochi giorni nascerà il Fatto Quotidiano di Travaglio, personaggio che neppure la Repubblica è riuscita a intaccare nella sua integrità morale e – soprattutto – legale.
Sembra di essere tornati ai tempi di Tangentopoli… Magari, dico io!

Il gioco del Monopoli
Viene inventata la Polizia di carta: In occasione della vicenda resa nota dal Giornale [su Boffo] le forze armate di carta hanno, mi auguro una tantum, riattivato l’antico cliché corporativo. Ovvio, si trattava di far passare l’idea che la CEI abbia ragione di indignarsi e il Giornale torto a provocare scandalo riportando un fatto documentato. Il frettoloso periodo è scritto maluccio, vorrebbe far credere che alcuni giornali stanno facendo “cartello” contro Berlusconi.
Purtroppo queste poche parole, che vorrebbero rappresentare una difesa/attacco, sono dettate da una complessa azione-reazione. In breve:
La Repubblica attacca Berlusconi e il Corriere della Sera non smentisce.
– Berlusconi si incazza.
– Scriviamo che il direttore de la Repubblica si sta comprando una casa pagandola in nero.
– L’Avvenire attacca Berlusconi.
– Berlusconi si incazza.
– Attacchiamo Boffo per la sua omosessualità e un patteggiamento per molestie.
– La CEI ci attacca.
– Berlusconi si incazza, ma schiva.
– Attacchiamo la CEI.
– La CEI si incazza come solo lei sa fare.
In pratica la filosofia sembra essere: “attacchiamo a testa bassa tutti quelli che ce l’hanno con Berlusconi”. Ma è una strategia che alla lunga non paga, perché l’idea del premier è imbavagliare l’informazione, mentre l’ira di Feltri lo costringe a fare notizia, a riportare dichiarazioni, a pubblicare documenti di dubbia provenienza. Prima o poi Feltri perderà pubblicamente la faccia e dovrà essere sostituito, momento in cui lo stesso Berlusconi si autoproclamerà un bugiardo.
Tornando all’articolo notiamo come la stampa avversa al premier venga chiamata “forze armate di carta”. Confesso che non comprendo il “messaggio” nascosto, è sicuramente molto forte e ispira violenza, probabilmente l’idea era di far passare la concorrenza come un acerrimo nemico da combattere fino alla morte, ma l’effetto complessivo è una rilevante goffaggine.
“L’antico cliché corporativo” è un brutto autogol perché mette in discussione proprio la libertà di stampa, quindi crea sospetti sullo stesso Feltri. Ma l’idea che la frase comunica al lettore, specialmente se estratta dal contesto, è che si stia parlando di un complotto massonico. Un argomento tabù, perché Berlusconi è stato membro della P2 e legifera seguendo le vecchie idee di Licio Gelli.
Per finire si svela il motivo dell’articolo: delegittimare il Giornale facendo credere che la CEI abbia ragione da vendere. Ma questo può valere solo se entrambe le parti sono sullo stesso piano, invece Feltri ha pubblicato una patacca e i vescovi si sono – giustamente – alterati. Se la Repubblica intitola “Inter Milan: 4-0” non è possibile nessuna critica, il Milan ha giocato da fare schifo, o l’Inter da Dio, non può essere considerato uno sgarbo, ma solo un dato di fatto: la verità.

Precisa: Il cardinale Bagnasco giudica disgustoso il nostro attacco, ma non giudica disgustoso l’episodio che lo ha generato e di cui è stato protagonista Dino Boffo. In realtà il giudizio è stato dato da tempo, la velina anonima fu trasmessa (senza richiesta) tre mesi fa a tutti i vescovi, Bertone ha subito rinnovato la fiducia a Boffo chiarendo che non avverranno cambiamenti nell’Avvenire, via telefono gli comunica la solidarietà del Papa. Che razza di morale è questa? Da quando in qua raccontare un reato è peggio che commetterlo? Ancora una volta si torna sul tema della morale, si capisce chiaramente che Feltri è incazzato perché i suoi avversari diretti non hanno reagito come desiderava. Sua eminenza è fuori strada, e come lui i quotidiani che si sono accodati acriticamente. Un insulto pesante a Bertone che se lo appunta nel suo libricino nero.

I fatti distorti
Qualche sprovveduto ci ha rimproverati di aver confezionato un falso per colpire Avvenire. Bene. Eccolo servito; pubblichiamo in prima pagina la prova regina: il testo della Procura da cui si apprende dell’avvenuta esecuzione della pena inflitta e il reato relativo. Il Gip di Terni conferma che la “velina” utilizzata da Feltri non esiste, così come nessuna nota che riguardi l’orientamento sessuale di Boffo. Eppure si leggeva il 28 agosto “Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni…”, frase non estratta dal certificato del casellario giudiziale (che riporta solo il reato di “molestie alle persone” e l’ammenda), ma da un foglio anonimo allegato ad esso, scritto a macchina e destinato all’Eccellenza Vostra (titolo da vescovo, ma anche da prefetto), che definisce Boffo omosessuale. Quindi la “prova regina” è un pezzo di carta che chiunque avrebbe potuto confezionare accedendo ai documenti processuali, segreti per ragioni di privacy.
[…] Oddio, comprendiamo il suo ritegno e il suo stato d’animo [di Boffo], un po’ meno le dichiarazioni di Bagnasco e per nulla la maniera con cui i giornali le hanno enfatizzate senza nemmeno ascoltare la nostra campana. Ma fin qui accettiamo, siamo gente di mondo. Io sono sicuro che Feltri queste cose le capisce benissimo, forse non i suoi lettori, però non accetto di essere sbattuto nella categoria “gente di mondo”.

Botta senza risposta
Ciò che sorprende è la spudoratezza di Eugenio Scalfari, fondatore di la Repubblica, il quale per sostenere la tesi secondo cui io avrei agito come killer di Berlusconi, si inventa una mia visita a Palazzo Chigi […] Si svicola, si cerca altra carne da mordere. Viene chiamato “killer”, un termine inglese che, tradotto alla lettera, significa “assassino”. Un insulto pesante che Scalfari poteva evitare. Purtroppo, poche righe dopo, Feltri usa la stessa parola: […] qui se c’è uno specialista in killeraggio è Scalfari.
È proprio in questa frase che si capisce Vittorio Feltri. Se lo insultano, lui ribatte sullo stesso piano, quindi pensa che anche gli altri ribattano agli insulti nello stesso modo. Scrive che Boffo è omosessuale e si aspetta che Bagnasco replichi “difendendo un omosessuale”, mettendo in imbarazzo il Vaticano, invece lo difende e basta. Ma Feltri insiste testardo, credendo di infinocchiare un alto porporato, abile negoziatore, che possiede una capacità dialettica cento volte superiore. Una battaglia persa in partenza…

Intuito siciliano
Se poi non bastasse, sarei disposto a dare il mio ok a chi desiderasse controllare i tabulati delle mie telefonate in entrata e uscita e la durata delle conversazioni, da cui si comprenderà che con il Cavaliere ho parlato in un passato non remoto per un totale di un paio di minuti, non certo sufficienti a elaborare una strategia di killeraggio. La strategia di “killeraggio” la si vede chiara e limpida. Mogavero capisce che i due non usavano il cellulare, infatti definisce l’intimidazione mafiosa proprio perché sa che è stata organizzata tramite “pizzini”.

La crisi isterica
Ergo. La patacca è di Repubblica, non del Giornale. Il killer non sono io, bensì Scalfari che spaccia balle su di me esercitandosi in una pagina di giornalismo basato su congetture anziché sui fatti. Dunque la Repubblica è inattendibile. Insomma, sembra che la vittoria non si debba attribuire a chi ha ragione, ma a chi ha meno torto. Ma a molti veri giornalisti resta un sorriso sulle labbra leggendo la parola “Ergo” seguita da un punto. Ma chi era Ergo? Il cane di Ulisse o un condizionatore? Me lo chiedono da anni…
Mentre scrivo leggo un dispaccio di agenzia. Da qui si capisce che è meglio non fare due cose contemporaneamente. […] Ignazio Marino, afferma che c’è da vergognarsi di quanto è accaduto negli ultimi giorni. E punta il dito contro di noi. Contro chi lo deveva puntare il dito, sulla sua portinaia?
Marino non può permettersi simili libertà. Semmai è lui che deve vergognarsi: non si fa la cresta sulle note spese. Fregare soldi all’Università (che ti licenzia, di conseguenza) non sta bene e non fornisce la patente per guidare attacchi gratuiti al Giornale. Tutti dati scritti in bella grafia nel dossier del povero Marino…

Lezioni di giornalismo / 3

29 agosto 2009 alle 23:22 | Pubblicato su Lezioni di giornalismo | 4 commenti
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VeronicaLario

Torno da una breve vacanza e mi trovo Vittorio Feltri che delira. L’attacco a Boffo ormai è su tutta la stampa nazionale ed estera, la notizia non è più da prima pagina e quindi penso che sia il momento di analizzare i motivi che hanno spinto il Giornale ad attaccare il direttore dell‘Avvenire.

Isso, Issa e o’ Malamente:
1) Silvio Berlusconi, a causa della legge Mammì sul conflitto di interessi, è costretto a vendere la società editrice che controlla il Giornale al fratello Paolo, restando socio di minoranza col 29% delle azioni.
2) L’intero settore della “carta stampata” è in crisi. All’estero si opera drasticamente, qui vale la regola “allenatore che vince non si cambia”, così Mario Giordano riconsegna la poltrona a Feltri, posto che aveva già occupato tra il ’94 e il ’97. Una sintesi del pensiero editoriale che lega la coppia Berlusconi-Feltri si trova esposta con cura in questo simpatico post.
3) Parte dal compleanno di Noemi Letizia una crescente critica da parte della Chiesa Cattolica nei confronti del premier. Per ragioni caratteriali sembra che il PdL abbia deciso di ignorare tali rimproveri privati, però segue alla lettera le indicazioni del Vaticano sulle questioni morali pubbliche, infatti oggi martella sulla pillola Ru486 e il Biotestamento attraverso i suoi fedeli infiltrati in Parlamento.
4) Veronica Lario chiede il divorzio.

Titolo completo:

Il supermoralista condannato per molestie

Sottotitoli:

Incidente sessuale del direttore di «Avvenire».

Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell’accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione.

(Tratto da il Giornale di ieri, la cui edizione in formato PDF è consultabile on line).

Come la tradizione dei peggiori quotidiani locali impone, l’articolo copre l’intera larghezza della pagina, sullo stile di una becera cronaca nera abbinata ai torbidi sfondi erotici.
Feltri si occupa di introdurre l’argomento nell’editoriale, ma il titolo lo troviamo solo nelle pagine interne: Perché smascheriamo i moralisti. Da qui si inizia a intuire il progetto architettato a tavolino dalla brillante redazione: parare il culo a Berlusconi, attaccando chi lo attacca, puntando sulla vita privata usando la biblica frase “chi è senza peccato scagli la prima pietra.”
Dino Boffo scagliò la pietra nel 2002 e il procedimento penale si concluse due anni dopo col patteggiamento e una multa. L’intera vicenda viene descritta da Gabriele Villa a pagina tre, un articolo che vuole confondere il lettore nella definizione di “pubblico e privato“, argomento attorno al quale gravitò l’intervista di Barbara Berlusconi su Vanity Fair.
Si parte con un errore da dilettante: Copia di questi documenti [che condannano Boffo] da ieri è al sicuro in uno dei nostri cassetti e per questo motivo, visto che le prove in nostro possesso sono chiare, solide e inequivocabili, abbiamo deciso di divulgare la notizia. Era una dichiarazione necessaria? No, altrimenti i giornali dovrebbero ripeterlo in ogni articolo, anzi, peggiora la credibilità dell’intero quotidiano in quanto si tende a pensare che il pezzo di Villa rappresenta la verità, tutto il resto una burla di errori e propaganda.
Di seguito arriva il meglio: A onor del vero, questa storia della non proprio specchiata moralità del direttore del quotidiano cattolico, circolava, o meglio era circolata a suo tempo, per le redazioni dei giornali. Dove si chiacchiera, anche troppo, per tirar tardi la sera. C’è chi aveva orecchiato, chi aveva intuito, chi credeva di sapere. Essendo il rinvio a giudizio di Boffo un atto pubblico non si capisce perché debba apparire come un segreto fra omertosi, neppure è chiaro come, per far partire le rotative in piena notte, la sera nella redazione dei giornali italiani venga trascorsa a chiacchierare, per “tirare tardi”. Se io fossi il direttore licenzierei Villa per “giustificato motivo” senza che nessun sindacalista possa aprire bocca!
Dopo una citazione di cattivo gusto su Gesù Cristo e i giri di valzer di Berlusconi con signore (sposate?) molto disponibili, ecco finalmente la notizia: Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Boffo ha sbagliato ed ha pagato per il reato di stalking, a mio parere la magistratura ha fatto il suo dovere, senza garantismi eccessivi, né severe punizioni. Però da eterosessuale comprendo questo comportamento, perché non si tratta di evasione fiscale o incendio doloso, ma la reazione di un essere umano che non accetta una relazione sentimentale impossibile, mi sento inoltre portato a biasimare quella donna che non ha trovato il coraggio di accettare la realtà di un matrimonio fallito. Quanti voi, uomini, avreste fatto una follia simile per una donna? E voi donne verso un uomo? Ma Villa non ci sta, il “noto omosessuale” Boffo non merita nessuna pietà, mi chiedo perché non chiamarlo brutto ricchione o frocio di merda…
L’articolo prosegue con un “coccodrillo” sulle qualità del direttore che addirittura vanta un curriculum di rispetto, ed ecco che il sassolino nella scarpa viene alla luce: […] recentemente, in più d’una occasione, Boffo si è sentito in obbligo, rispondendo alle pressanti domande dei suoi smarriti lettori, di esprimere giudizi severi sul comportamento del presidente del Consiglio. E, turbato proprio da quel comportamento, è arrivato a parlare di «disagio» e di «desolazione». Persino, e dal suo punto di vista è assolutamente comprensibile, di «sofferenza». Quella sofferenza, per citare testualmente quanto ha scritto ancora pochi giorni fa, sul giornale che dirige «che la tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato». Questa riflessione l’ha portato a esprimere, di conseguenza, più e più volte il suo desiderio più fervido, ovvero il «desiderio irrinunciabile che i nostri politici siano sempre all’altezza del loro ruolo». Boffo, nella sua educazione, non mente: Silvio Berlusconi, rappresentante e garante delle istituzioni italiane ci sta facendo fare una gran brutta figura, soprattutto leggendo i quotidiani stranieri che lo prendono per il sedere ogni santo giorno, domenica inclusa, ma purtroppo il Giornale adora riportare solo i titoli a suo favore. È parzialità questa?
L’articolo finisce con la frase minacciosa: Si dice che le voci corrono. Ma, alla fine, su qualche scrivania si fermano. In effetti il segretario di Stato Bertone ha voltato le spalle a Berlusconi (colpevole di un attacco disgustoso) e non a Boffo, facendo capire limpidamente qual è l’attuale idea dei vescovi sui comportamenti “a rischio”.

Feltri: “Avanti così”
Torno a colui che, leggendo le ultime note di cronaca, verrà ricordato come un direttore flash, un “tappabuchi”, perché è ormai chiaro che una testa deve cadere, e non sarà certo quella di Letta o Fini.
“Avanti così” inneggia Vittorio, ma ci stava bene anche un “boia chi molla”. La sua politica è chiara: si prendono tutti quelli che sui media nazionali non controllati dal premier non sono – anche di poco – d’accordo con lui, si scava nella loro vita privata e si sbatte il mostro in prima pagina. Fra poco toccherà a Rai Tre e addio Fazio e Gabanelli…
Se fossi una persona poco seria, nella mia superficialità ricorderei che Feltri vanta alcune condanne per diffamazione e che quindi non dovrebbe ergersi paladino della morale.
Quando la politica si trasforma e si svilisce scadendo nel gossip, quando gli addetti all’informazione si rassegnano a pescare sui fondali del pettegolezzo spacciando per notizie le attività più intime degli uomini e delle donne, fatalmente la vita pubblica peggiora e riserva sorprese cattive. E se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi era abituato a volare alto, o almeno si sforzava di non perdere quota, è destinato a planare per rispondere agli avversari. Questa affermazione non è vera, ma l’incipit di Feltri sembra trasudare un dolore intenso che l’ha costretto ad abbandonare la sua nobile integrità. L’esempio è: se un gruppo di idioti che incrocio per strada mi urla: “A’ stronzo!”, io ne resto stupito e dopo qualche secondo riprendo la mia strada, senza rispondere a male parole scendendo al loro livello. Invece Feltri ha deciso di “scendere”…
Parla male de la Repubblica e dell’Avvenire, e parte la romanza: Mai quanto nel presente periodo si sono visti in azione tanti moralisti, molti dei quali, per non dire quasi tutti, sono sprovvisti di titoli idonei. Ed è venuto il momento di smascherarli. Dispiace, ma bisogna farlo affinché i cittadini sappiano da quale pulpito vengono certe prediche. Vorrei sapere quali sono i “titoli idonei” di un moralista, una figura che non è una professione, né un mestiere, oppure un vizio o un passatempo. C’è una scuola, dei corsi di aggiornamento, degli stage all’estero, un diploma? Se c’è una laurea la posso “comprare” a Reggio Calabria come ha fatto la Gelmini?
Il lettore viene imbrogliato nella definizione del termine, infatti “moralista” significa soprattutto “colui che giudica ogni azione da un punto di vista astrattamente morale”, ma anche “chi si comporta con eccessiva intransigenza morale”, enunciati che non definiscono necessariamente la stessa persona. Esempio: un assassino afferma che uccidere è sbagliato: non ha morale, ma la professa.
Da qui nasce l’idea di collezionare tutti coloro che stanno sulle palle a Feltri – e al suo datore di lavoro – con l’intenzione di metterli al rogo, iniziando una “caccia alle streghe” che nella storia dell’umanità ha sempre portato vergogna, violenza e la giustificazione di inutili delitti.
Feltri non parla degli scandali di Berlusconi, scrive solo che se ne occupa la Repubblica. In pratica, da perfetto giornalista dice che se vi interessano i fatti siete costretti a comprare un altro giornale, mentre quella è casa sua e lì comanda lui. Infatti aggiunge che se i vescovi hanno affidato al direttore Boffo il compito di loro portavoce si sono sbagliati di grosso, non perché lui non abbia capacità tecniche bensì perché è privo dei requisiti morali per fare il moralista o per recitarne la parte. E qui a Bertone & C. sono girati i ciufoli.
Premettendo che nulla abbiamo contro gli omosessuali; (e qui vale i proverbio “la gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo”) resta il fatto che il direttore dell’Avvenire non ha le carte in regola per lanciare anatemi furibondi contro altri peccatori, veri o presunti, e neanche per tirare le orecchie a Berlusconi. E qui Ruini si incazzò parecchio.
Il problema è che in campo sessuale ciascuno ha le sue debolezze ed è bene evitare di indagare su quelle del prossimo. Altrimenti succede di scoprire che il capo dei moralisti scatenati nel vituperare il capo del governo riveli di essere come quel bue che dava del cornuto all’asino. Un encomio a Boffo che ha preferito sentirsi insultare che vivere in un paese governato da un puttaniere.

E Veronica?
Veronica Lario è la chiave di questo caos che miete vittime innocenti. Non è colpa delle sue insinuazioni sul marito (“va con le minorenni”, “trattatelo come un malato”, etc), nè il recente libro di Maria Latella “Tendenza Veronica”.
Il problema è il divorzio, che non dovrebbe comportare tensioni, in quanto da tempo definito consensuale, ma che dovrà spostare da Silvio verso la moglie e ai suoi figli un discreto patrimonio. Barbara fa parte del Consiglio di Amministrazione della Fininvest – gli altri due ne sono soltanto azionisti – in totale un discreto gruzzolo condito da qualche spicciolo.
Il dramma è rappresentato da questi spiccioli suddivisi in 64 società offshore intestate a prestanomi fidatissimi residenti nei più noti paradisi fiscali internazionali. David Mills le conosce tutte a memoria, sa bene che nel momento in cui avverrà la spartizione dei beni la Guardia di Finanza ci metterà il naso e Mr. B il mese prossimo, quando la Consulta riterrà il lodo Alfano incostituzionale, tornerà a riceve scatoloni pieni di avvisi di garanzia.
E Feltri riprenderà a dirigere Libero.

Lezioni di giornalismo / 2

20 agosto 2009 alle 12:54 | Pubblicato su Lezioni di giornalismo | 1 commento
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Kattivik

Ho sempre pensato – e sono tutt’ora convinto – che il termine “terrorismo”, (ab)usato dopo l’undici settembre dall’aministrazione Bush, non sia inteso a rappresentare arabi con la barbetta spettinata e uno zaino pieno di tritolo, ma derivi della lunga esperienza delle SS durante l’occupazione nazista in Europa, e l’Olocausto che costò la vita a milioni di innocenti civili.
Un anonimo scrisse, durante le violenze della Seconda Guerra Mondiale:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare.

In questa intelligente prosa si può sostituire a zingaro, ebreo, omosessuale e comunista altre categorie, come ad esempio padano, cattolico-conservatore, capitalista, ricco-imprenditore, e il messaggio resta inalterato. Se non ci si oppone alle ingiustizie che colpiscono le minoranze la vita di chiunque sarà in pericolo.

L’istinto di sopravvivenza si basa su un sottile piedistallo di paure giornaliere che ci impediscono di essere sopraffatti dalla pigrizia e dal torpore della fatica di vivere. Il mio gatto tonto e obeso scappa ogni volta che scuoto il cuscino fuori dalla finestra, mi vede picchiare un oggetto che gli assomiglia e teme di fare la stessa fine, fugge e si salva. Purtroppo, quando la paura sale oltre un determinato limite, diventa cronica e ci impedisce di pensare lucidamente.
Quindi la domanda è: in che modo crescono le nostre sicurezze, e le paure svaniscono nel violentare un nostro simile? Forse perché siamo degli esseri umani, ovvero l’unica razza animale che uccide per piacere…

Durante le ultime elezioni europee c’è stato uno spostamento di consensi dal PdL verso la Lega, da allora si è capito come il Carroccio voglia imporre il suo potere politico attraverso una campagna costruita sulle idiosincrasie dei simpatizzanti padani.

Perché non trattano direttamente con Berlusconi, magari chiedendo un paio di ministeri in più, o un maggiore protezionismo economico del nord Italia? Purtroppo le loro origini culturali non arrivano a tanto, si trovano ancora meglio fra gli applausi dell’ignoranza paesana presentando programmi di “celodurismo”. Il blogger Paz83 li definisce con affetto dei “cagacazzo”.
In questo caldo agosto, dove anche il premier sembra cercare un fresco riposo lontano da festini orgiastici, la Lega impazza mitragliando il Bel Paese con dichiarazioni folli. L’azione-reazione trascina i media nella trappola, i giornali non possono pubblicare solo le labbra rifatte (di birra) di Lindsay Lohan, o il vero sesso dell’atleta Semenya (che sarà bruttina, ma abbiamo visto correre cessi peggiori…)

Titolo completo:

Dal burkini alle fiction in dialetto, la calda estate della Lega Nord

Sottotitoli:

Le prime avvisaglie a maggio con l’idea di riservare posti a sedere sulla metro ai soli milanesi.
Da allora a oggi è stato un crescendo di proposte dei leader nazionali e degli amministratori locali.
In Friuli il primo film sottotitolato e nel centro storico di Capriate vietati i kebab.
A Varallo 500 euro di multa a chi indossa il costume da bagno musulmano.

Quando tutto tace la giornalista Stefania Parmeggiani si concede il diritto di riassumere le peggiori affermazioni di quei signori che siedono comodamente in Parlamento. Non c’era bisogno ddel suo articolo, non è necessario sparare a zero ogni santo giorno contro i musulmani, sarebbe stato più furbo lasciar dimenticare agli italiani il desiderio di ripristinare l’ideologia fascista, almeno per 24 ore. Purtroppo repubblica.it ha perso la sua occasione, oppure si deve dedurre che sostiene la Lega sperando in un improbabile ribaltone.
Per rafforzare l’impegno redazionale è stato organizzato anche un sondaggio on-line che (ovviamente) ha sostituito nelle risposte preconfezionate la “xenofobia” a un semplice “colpo di calore”.
È triste vedere come la Parmeggiani voglia imitare Travaglio (probabilmente il miglior giornalista europeo) che ha il pregio di riportare una lista di fatti noti ed accertati dimostrando come un potente sia ladro o mafioso. Una lista di argomenti vuoti restano idiozie anche sui rotocalchi scandalistici o nei settimanali di moda, figuriamoci su un affermato quotidiano. Perché la Parmeggiani non si chiede: quando avranno emarginato i musulmani, imposto una cultura e conformato ad essa  la vita di tutti, cosa farò sentendo bussare alla mia porta senza che sia rimasto nessuno a protestare?

PS. Vi consiglio il film State of play. Racconta la storia di un bravo giornalista e di una vera notizia.

Lezioni di giornalismo e propaganda / 1

17 agosto 2009 alle 9:41 | Pubblicato su Lezioni di giornalismo | 1 commento
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newspaper

Riporto brevi appunti su come si costruisce una propaganda di regime attraverso i media.

Il giornalista può riportare i fatti attraverso una descrizione fredda e imparziale, oppure seguire una strada di contraddizioni che crea confusione. Il secondo metodo costringe il lettore a farsi un’opinione personale per riuscire a comprendere nella sua completezza gli avvenimenti descritti, il risultato è un’idea spesso superficiale e semplicistica, più sbagliata che corretta.

Un abile giornalista riesce a far percepire ad ogni lettore una visione differente della realtà, che è rappresentata dall’aspettativa iniziale. In poche parole, se nel titolo si accenna alla dichiarazione di un ministro, leggendo l’articolo i sostenitori di quel politico troveranno spunti positivi e continueranno a sostenerlo, mentre gli oppositori coglieranno elementi negativi che alimenteranno la loro avversione.

Il disorientamento viene creato soprattutto in due modi:
– Usando fonti in contrasto fra loro.
– Alterando i fatti.

Gli esempi di oggi li ho tratti da repubblica.it, la testata quotidiana considerata la più liberal d’Italia.

Titolo completo:

Due vittime nei rave party di agosto.
Ragazza e ragazzo morti in Puglia e in Molise.

Sottotitoli:

Nelle campagne del Salento una giovane di 23 anni è stata stroncata da un’overdose
Vicino a Campobasso ha perso la vita un giovane israeliano ventiseienne
Giovanardi: “Bisogna identificare e perseguire gli organizzatori”

Già i sottotitoli dovrebbero dire tutto, ma ora vediamo come nell’articolo le vicende sono riportate.

Nel primo paragrafo, che nella migliore tradizione serve a riassumere gli eventi, si legge di nuovo: Una ventitreenne lucana è stata stroncata da un’overdose, ma poche righe dopo la smentita: … ma gli inquirenti non escludono l’ipotesi di un collasso provocato dal caldo e dall’abuso di alcol. La certezza si avrà soltanto con l’autopsia che si svolgerà domani. In pratica si è scritto il falso, sarebbe stato opportuno modificare la prima frase in: stroncata da una probabile overdose, da qui si capisce che l’argomento trattato non è il dramma di due famiglie che hanno perso i loro giovani figli, ma l’uso della droga. Ora occorre solo capire come questa pratica verrà condannata.

Si continua più avanti: Tra ieri e questa mattina, durante i controlli su strada in provincia di Lecce sono stati segnalati almeno 100 giovani per guida sotto effetto di sostanze stupefacenti o in possesso di droga per uso personale. Evento abbastanza normale durante il fine settimana, anomalo invece il seguito: Mentre stanotte cinque persone, sempre in provincia di Lecce, sono state arrestate per spaccio di droga. Le forze dell’ordine cercano di mostrarsi pronte e integerrime colpendo i “cattivi”, che si rivelano una misera manciata di pusher, la manovalanza che nella gerarchia della criminalità organizzata è la meno costosa e più facile da sostituire.

La seconda vittima è un israeliano, anche per lui i motivi del decesso non sono ancora chiari: … l’autopsia che dovrebbe essere eseguita domani, mentre si assiste ad un momento tragicomico: Al pronto soccorso i medici hanno avuto qualche difficoltà a comunicare con i ragazzi che parlavano solo inglese. La parola “drug” può significare “droga”, ma anche “farmaco”, quindi se si tenta di comunicare domandando “Ha preso una drug?” ci si può attendere un “Sì, ha preso un’aspirina”.

Sotto pressione si inizia ad arrampicarsi sui vetri: Tutto lascerebbe pensare a una morte dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti, anche perché stamattina al pronto soccorso di Campobasso sono arrivati altri due ragazzi che partecipavano allo stesso rave, ai quali sono state riscontrate intossicazioni. Entrambi sono tenuti sotto stretta osservazione nel reparto di rianimazione. Nella speranza che non si tratti di una mozzarella scaduta…

Nell’epilogo si rivela l’azione-reazione che ha motivato l’articolo: “L’ennesimo decesso nell’ambito di un cosiddetto rave party dimostra quanto sia necessaria una continua opera di prevenzione e di repressione dei fenomeni collegati alla droga – ha spiegato Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al contrasto delle tossicodipendenze. E mi sembra giusto, estendendo il fenomeno anche fuori dai rave party che sono rari e stagionali. L’apparente follia sta nella dichiarazione: “Si tratta ora di identificare e di perseguire con la massima severità gli organizzatori di questi happening, che devono in qualche modo rispondere delle conseguenze derivanti dalla violazione delle regole previste dall’ordinamento, per garantire la sicurezza nei concerti e nelle manifestazioni musicali”. In pratica sembra che al ministro non importa nulla della morte dei ragazzi, infatti non parla di droga, ma di sicurezza, e del party illegale come una semplice manifestazione musicale

Avendo in Parlamento e sparsi fra le più alte cariche della Pubblica Amministrazione delinquenti collusi con la mafia, non mi sorprende che il messaggio di Giovanardi abbia il duplice effetto di tranquillizzare la malavita (infatti condanna colo gli organizzatori) e di spaventare i cittadini (usando il termine sicurezza, elemento chiave della campagna elettorale del PdL). Che i ragazzi siano morti di overdose, oppure no, la cronaca nera tira e il messaggio ci stava da Dio.

Invito chi non conosce i “rave party” alla consultazione di Wikipedia, sottolineando come siano eventi la cui locazione e data viene comunicata all’ultimo momento, attraverso il passaparola, SMS o siti internet che restano in linea pochi giorni. Per coloro che amano la tranquillità c’è la sicurezza della discoteca.

Titolo completo:

Tessera del tifoso, ‘No’ ultrà. “Tutti a Roma il 5 settembre”

Sottotitoli:

Le tifoserie si preparano a dare battaglia contro il provvedimento del ministro dell’Interno.
“Batterci per i nostri diritti”. Gli investigatori: ancora 450 i gruppi violenti di cui 234 politicizzati.

Un pezzo sul calcio a pochi giorni dall’inizio del campionato. Nella home page di Repubblica è posizionato lontanissimo da quello che abbiamo appena analizzato, ci sarà un motivo?

Ieri il ministro dell’interno, Roberto Maroni, dichiara che: A partire dal prossimo primo gennaio gli appassionati di calcio potranno seguire la loro squadra in trasferta solo se muniti della tessera del tifoso. Si legge inoltre che A rischiare, però, sono soprattutto le società: chi non dovesse controllare adeguatamente [i tifosi violenti], infatti, l’esistenza di precedenti e la distribuzione delle tessere, potrebbero addirittura essere escluse dal progetto, evento che ricorda molto la vecchia idea di multare i provider internet che permettevano ai loro utenti di scaricare film e musica pirata. La legge fu considerata incostituzionale in quanto sta solo agli inquirenti (forze dell’ordine e magistratura) eseguire indagini sui privati.

Si parte con un gioiello: Un “no” unanime, che sta saldando insieme tifoserie di destra e di sinistra, padani e meridionali, ultras di squadre di vertice con quelli di formazioni che militano nei campionati minori. Le tifoserie vengono classificate prima per le loro simpatie politiche, poi per la residenza (i settentrionali diventano padani), infine per la squadra del cuore.

Gli ultrà si giustificano con frasi senza senso: “La tessera del tifoso è un reale e incombente pericolo e per questo è necessario batterci per i nostri diritti, per la nostra libertà e per la nostra passione”. Sono già programmati manifestazioni e scioperi per sostenere i nostri fratelli diffidati. Il termine “fratello” ricorda molto “compagno” e “camerata”, infatti secondo le più recenti analisi del Viminale sono ancora 450 i gruppi ultras violenti di cui 234 politicizzati e, tra questi, 61 (nel 2008 erano 58) hanno forti legami con movimenti di estrema destra e 28 sono vicini a formazioni radicali di sinistra. Si tratta dei “soliti noti”: i ‘Bisl’ (Basta infami solo lame) e ‘Tradizione e distinzione’ della Roma, i ‘Mastiff’ del Napoli, la ‘Banda noantri’ della Lazio, le ‘Brigate autonome livornesi’, i ‘Korps’ della Fiorentina, gli ‘Irriducibili’ dell’Inter, i ‘Drunks’ del Catania. L’articolo termina così: Restano poi i problemi storici: la “saldatura” tra le tifoserie di Roma e Lazio con i gruppi di estrema destra, la vicinanza di alcuni gruppi ultra del Napoli e del Catania con la criminalità organizzata, l’estremismo razzista di diverse tifoserie del nord, Inter e Verona su tutte. E, ovviamente, la battaglia a tutto campo contro le forze di polizia, da anni ormai i veri nemici di tutti i gruppi organizzati (che ha raggiunto l’apice in occasione dell’omicidio di Gabriele Sandri) tanto che i servizi segreti, nell’ultimo rapporto consegnato al Parlamento, hanno ribadito che la “contiguità” tra “frange di tifo organizzato ed estremismo politico” è caratterizzata da una “forte avversione nei confronti delle forze dell’ordine” che lascia “ipotizzare, in qualche caso, anche disegni preordinati”.

Anche qui l’azione-reazione di Maroni è ovvia: non avendo il coraggio di combattere con fermezza e decisione gli incidenti, spesso mortali, che gravitano attorno ad un ambiente che controlla una quantità enorme di denaro a livello internazionale, si propone come salvatore della Patria (ri)proponendo un oggetto che sarà negato dalla Corte costituzionale, ma con maggiore probabilità non utilizato per venire incontro alle bizze delle “curve”. Gli ultrà rappresentano solo una minima porzione dei veri tifosi che non osano portare le loro famiglie allo stadio per la paura di incidenti, ecco quindi come ripresentare agli italiani il problema della sicurezza.

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